Dubbio - Luglio 2021
L’inserimento di questa parola tra “conchiglie” che si propongono di sollecitare riflessioni nel mondo imprenditoriale e manageriale può sembrare fuori luogo.
In realtà, siamo abituati a pensare all’impresa come ad un contesto dominato da un immanente decision making alla continua ricerca di una posizione competitiva sul mercato, svelata poi nella sua efficacia dal favore con cui l’acquirente finale guarda alle proposte formulate.
Di certo, questa immagine delle dinamiche aziendali mostra ampia evidenza nella realtà di ogni giorno, quasi che l’impresa possa essere considerata come un’organizzazione guidata da un algoritmo che macina decisioni su decisioni sulla base della logica che la ispira e delle informazioni raccolte, escludendo il dubbio dai processi decisionali.
Purtroppo in alcuni casi questo è vero. Lo è per le imprese nelle quali prevale il convincimento che l’unico fine dell’azienda sia il risultato quantitativo e che quindi adottano processi decisionali semplificati dall’uso di criteri pressoché esclusivamente economico-finanziari. Ma anche per quelle imprese che si adagiano sugli allori del successo e sulla conoscenza disponibile, nella presunzione che questa possa assicurare le performance sin ad allora espresse senza provvedere ad alcuna “manutenzione”.
Imprese nelle quali il decisore scambia una verità relativa, valida un certo momento, con una verità assoluta acquisita una volta per tutte, a dispetto del divenire in cui si trova immerso nella sua quotidianità.
Imprese che appaiono lontane da una prospettiva di longevità che per sua natura richiede una ridiscussione continua del proprio modo di essere. Ridiscussione possibile, però, solo ospitando il dubbio. Ovvero vivendo quella condizione mentale che pone il decisore di fronte alla complessità di alternative valutate nelle loro componenti etiche oltre che economiche e lo porta a mettere in discussione ciò che sino a quel momento era considerato acquisito, ma che da quel momento si ritiene non rappresenti più l’ideale cercato.
Ecco allora che, se si guarda al processo decisionale dell’impresa da questo punto di vista, appare nitidamente la forza del dubbio nel perseguimento di un progetto di miglioramento continuo in un orizzonte di lungo periodo. Dubbio che si confronta con le istanze del nuovo provenienti dalla società cui l’impresa, come soggetto vivente, a tutti gli effetti appartiene.
In realtà, non può esserci progresso in assenza di dubbio. Il dubbio, invero, è il motore delle domande e le domande per loro natura aprono al nuovo. Domande che nella prospettiva del nuovo si rivelano più importanti persino delle risposte perché “una risposta è il tratto di strada che ti sei lasciato alle spalle. Solo una domanda può puntare oltre” (Jostein Gaarder). Ma che alle risposte sono intimamente legate come punto di partenza acquisito per i passi successivi.
Tuttavia, convivere con il dubbio significa convivere con il pensiero e con tutte le ansie che questo porta con sé per la possibilità di scoprire in esso i propri limiti e i propri errori. Alla forza del dubbio, quindi, è difficile attingere, perché il dubbio è difficile da maneggiare e vivere rispetto all’azione, ma anche perché il dubbio fa paura per il rischio che porta con sé di esserne travolti.
Al dubbio attingono a piene mani i ricercatori, perennemente alla ricerca di nuove conoscenze da diffondere nella comunità per risolvere problemi e costruire nuovi progetti votati al progredire desiderato.
Al dubbio possono attingere anche imprenditori e manager nell’interpretazione del proprio ruolo sociale nella comunità, ma con vincoli di tempo ed economicità decisamente più stringenti nella prospettiva della realizzazione delle idee e dei convincimenti che il dubbio e le sue domande portano con sé.
Così tra le più importanti skills imprenditoriali e manageriali si staglia la capacità di coniugare pensiero ed azione, dubbi e decisioni, nella ricerca di una condizione di armonia condivisa con tutti gli stakeholder dell’impresa. Cosa possibile solo attingendo alla guida dei valori aziendali e al sostegno della fiducia che scorre in relazioni volte alla produzione e diffusione di benessere.
È sulla base di queste risorse che l’imprenditore e il manager potranno partecipare – con la muta presenza del dubbio – alla costruzione di “un’impresa a prova di futuro”, pronta ad imboccare il percorso della longevità.
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Ma chi deve partecipare alla costruzione del futuro dell’impresa? Non è forse l’impresa un’opera d’arte collettiva? Se sì, l’arte non può consentirci di coglierne meglio la natura? E se così fosse cosa cambierebbe nella conduzione dell’impresa?
Domande, domande, nient’altro che domande, ma nondimeno preziosi veicoli di dubbio che soli possono portare all’individuazione di nuove soluzioni.