Consumo - Gennaio 2022
Il consumo consiste nel processo attraverso il quale i beni sono impiegati per rispondere a bisogni delle persone o per la produzione di ulteriori beni e servizi.
Il termine discende dal verbo consumare connesso ad una doppia derivazione etimologica, che come tale conduce al duplice significato di portare a compimento o di ridurre un qualcosa al nulla attraverso il suo utilizzo. Nei fatti è in questa seconda accezione che il verbo trova la sua maggior diffusione nel linguaggio comune.
Dallo stesso verbo deriva il termine consumatore che sta quindi per chi consuma un determinato bene.
Nei sistemi ad economia di mercato, connessi a questi concetti stanno anche i termini consumismo e consumerismo.
Il primo qualifica il fenomeno che si manifesta con l’acquisto indiscriminato di beni sulla spinta di sofisticate tecniche di comunicazione, volte a costruire bisogni avvertiti in quel mondo ideale cui le persone sono indotte a desiderare di far parte.
Il secondo qualifica il fenomeno opposto che vede una parte dei consumatori organizzarsi per contrastare gli effetti di questa condotta da parte delle imprese, volta ad allargare sempre più la produzione e le vendite nella ricerca di un processo di crescita continuo votato alla massimizzazione dei profitti.
Tornando alla parola consumo si scopre che, curiosando nei suoi sinonimi e contrari, essa porta con sé sinonimi come logoramento, distruzione, spreco, usura e contrari come conservazione, mantenimento, manutenzione.
Considerato da questo punto di vista l’atto del consumare getta sul mondo dei consumatori, quali attori finali di questo processo, cioè su tutti noi, un ombra un po’ inquietante: in realtà il nostro agire quotidiano si risolve nella distruzione di un qualcosa che per i meccanismi di mercato frequentemente non possiede una vera utilità, ma va ben oltre il bisogno per sconfinare nel capriccio e si trasforma in un puro spreco di risorse, quasi fosse questo il nostro fine ultimo.
La deriva descritta è un portato dell’economia di mercato nelle forme che conosciamo. Forme che di certo hanno contribuito ad un miglioramento della qualità della vita per un’ampia parte della popolazione, ma hanno nel contempo generato pesanti squilibri nella distribuzione delle risorse e del benessere con evidenti danni all’ambiente ormai sotto gli occhi di tutti.
Invero, già a partire dalla seconda metà del secolo scorso alcune voci si erano levate per dire che la natura non è una semplice risorsa da sfruttare, ma un sistema vivente di relazioni che debbono essere preservate nella loro armonia.
Voci che condussero nel tempo all’affermarsi di un principio di sostenibilità volto ad assicurare l’equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni delle generazioni attuali e di quelli delle generazioni future.
Principio che sua volta ha condotto all’avvio di una serie di percorsi innovativi quali l’adozione di processi di economia circolare per recuperare e rigenerare gli scarti, l’utilizzo crescente di fonti energetiche pulite, l’impegno assunto in ambito ONU per i Sustainable Development Goals (SDGs) fissati a livello globale per il 2030 e la progettualità del PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, a seguito della pandemia.
Perché tutto questo approdi ai risultati desiderati è necessario però immaginare un mutamento culturale nell’economia di mercato ed in particolare nelle motivazioni ad agire dei suoi primari attori: le imprese e i loro clienti, ambedue sempre più consapevoli della miopia di un procedere a “consumare il mondo” che causerà nel medio periodo danni agli uni e agli altri.
Questo mutamento passa anche - e forse soprattutto - dal linguaggio, perché sono il linguaggio e le parole che costruiscono la realtà.
Così, in una prospettiva di questo tipo certo si aprirebbero nuovi scenari se imprese e clienti abbandonassero la parola “consumo” per sostituirla con il termine “uso”.
Termine che si riferisce al fine che un soggetto si propone usando un bene o un servizio per rispondere ad una propria esigenza. Termine che richiama su di sé il rispetto e l’apprezzamento per ciò che si ha e per l’utilizzo e l’impiego che se ne fa a fronte di bisogni avvertiti, ma nella consapevolezza dei limiti delle risorse globalmente disponibili.
Questa scelta apparentemente nominale in realtà porterebbe con sé un cambiamento radicale, in quanto nobiliterebbe il prodotto considerandolo non come una quantità che produce valore tramite un suo accelerato consumo e deterioramento, ma come una qualità che produce benessere sostenibile generando valore economico e sociale nella ricerca di una rigenerazione dell’armonia con l’eco-sistema nel quale tutti ci muoviamo.
Ben diverso, infatti, sarebbe l’agire di un’impresa che pensa “all’uso e agli utilizzatori” di ciò che produce, piuttosto che “al consumo e ai consumatori”, intercettando gli ormai evidenti mutamenti culturali rivelati dagli orientamenti delle nuove generazioni nei riguardi dell’ambiente e del futuro desiderato. Generazioni che certo non si dilettano con il consumo, né aspirano ad appartenere alle schiere dei consumatori.