Ascolto - Marzo 2021
“Ascolto” è la parola scelta come decima Conchiglia per questa rubrica. La selezione è caduta su questo lemma per la forza che può possedere nella costruzione delle relazioni sociali e dei percorsi di crescita culturale delle persone e delle organizzazioni.
In sé, l’ascolto è semplicemente l’atto dell’ascoltare, cioè del prestare attenzione a ciò che viene detto da qualcun altro nel desiderio di coglierne il significato.
Innumerevoli sono i vantaggi di chi si pone in una posizione di ascolto.
Da una parte, ascoltare ciò che viene detto nelle relazioni alle quali si partecipa ha come risultato l’accrescimento del proprio bagaglio culturale e della propria conoscenza, anche grazie ai dubbi e alle differenze di vedute che si possono manifestare tra le varie opinioni espresse.
Dall’altra, l’ascolto rivela tutta la sua forza nella costruzione della razionalità possibile delle decisioni, grazie all’approfondimento dei caratteri del contesto in cui si declina la decisione stessa.
Fondamentale appare, poi, il ruolo dell’ascolto nell’ambito dei processi comunicativi, che potranno risultare efficaci solo nel momento in cui la comunicazione percorrerà le strade aperte dalle riflessioni proposte all’interno della relazione.
Per non dire della spinta creativa che l’ascolto può esprimere con la generazione di idee attraverso meccanismi mentali associativi, che legano una nuova informazione all’architettura culturale propria dell’ascoltatore.
A questi vantaggi, però, solo in pochi accedono per la semplice ragione che ascoltare, seppur apparentemente semplice, risulta in realtà estremamente difficile per una varietà di motivi.
Non solo per ragioni di carattere tecnico come nel caso dell’impossibilità a seguire il pensiero dell’interlocutore per questioni di linguaggio, per la sua incapacità di mantenere alta l’attenzione nell’ascoltatore, per la sua esasperante verbosità o per le diverse priorità nell’uso del tempo avvertite dai soggetti coinvolti nell’incontro.
Ma anche per motivi di carattere psicologico che investono l’ascoltatore stesso, quali la necessità di frenare il desiderio di esprimersi tipico della cultura occidentale, l’arrivare a frettolose conclusioni, la pressione di altre attività che si insinuano nell’incontro attraverso gli strumenti telematici a disposizione, il timore che l’interlocutore metta in discussione quanto già acquisito, ma anche i limiti della capacità di attenzione oltre un certo tempo, dopo il quale si spalancano le porte ai cosiddetti pensieri pirata, che distolgono l’attenzione dal tema per portare la mente a vagare in una varietà indefinita di direzioni.
Senza dimenticare la difficoltà di cogliere ciò che non viene detto nella natura dei silenzi, delle pause, dei toni della voce, dei gesti e degli sguardi, insomma di quanto espresso dal linguaggio para verbale e non verbale. Difficoltà, peraltro, amplificata nel momento in cui l’incontro viene mediato dalle moderne tecnologie della comunicazione.
Così, spesso accade che più che ascoltare quello che una persona dice, ci si prepara per quello che si vuole dire, sprecando in questo modo innumerevoli occasioni di arricchimento.
In soccorso arrivano schiere di esperti che propongono le regole dell’arte dell’ascolto, la lista dei peccati del cattivo ascoltatore e i consigli per migliorare l’ascolto.
Tutte indicazioni che manifestano un proprio valore, ma che trovano in due semplici concetti la chiave di volta per la loro efficacia: da una parte, la consapevolezza del fatto che anche la cosa più piccola che non si conosce è più importante di ciò che già si conosce (*) e, dall’altra, che l’ascolto possiede una fortissima valenza sociale in quanto rappresenta una delle forme più alte di rispetto e di altruismo che fa sentire l’interlocutore parte di una comunità sociale, piccola o grande che sia.
D’altra parte, nell’antica Grecia il valore dell’ascolto era ben sottolineato dal ricordare che la natura ci ha dotati di due orecchie e una bocca perché si possa ascoltare di più di quanto si parla.
Dire che l’ascolto è un altro dei punti di forza che hanno consentito alle imprese centenarie di superare la barriera del tempo e del ciclo di vita del fondatore è probabilmente cosa scontata. Ma forse vale la pena ricordarlo per il rischio che in un’epoca della brevità, quale quella attuale, il tempo dell’ascolto possa essere considerato tempo perso.
(*) “Quel che non si sa è sempre più importante di quello che si sa già”, Gianni Rodari, ripreso da Edoardo Camurri nel programma #Maestri, Rai 3