Sostiene Jacopo Poli che la vera innovazione non sia il frutto di chissà quale macchinosa o ipertecnologica filosofia aziendale, bensì la capacità di sapersi migliorare ogni giorno, un passo alla volta. Una politica che, nel suo caso, pare funzionare. Ma, come la grappa Poli, ci sono diversi altri prodotti che continuano a tenere alto il nome del nostro Paese a livello internazionale. Proprio alcuni rappresentanti di questi brand si sono riuniti ieri mattina alla Poli Distillerie di Schiavon, dove è andato in scena il convegno “Storie e dialoghi sull’innovazione d’impresa”, promosso dall’Unione delle imprese storiche italiane (Uisi). Una sorta di convivio che si svolge ogni anno in una regione diversa. Quest’anno è toccato al Veneto, e Poli, iscritto da tempo all’associazione, ha aperto le porte della distilleria. All’incontro hanno partecipato i titolari di aziende di ogni parte d’Italia.
Il punto di partenza del convegno è stato una semplice domanda: come può un’azienda storica, dalla tradizione centenaria, riuscire a continuare ad essere competitiva anche nel mondo ipertecnologico di oggi? I relatori hanno provato a dare una risposta, partendo dallo spunto iniziale lanciato proprio dal padrone di casa, che ha esposto un suo pittoresco concetto elaborato in tanti anni di esperienza lavorativa.
«Bisogna stare attenti a non farsi colpire dalla sindrome della “secia” (secchio) - ha sostenuto Poli - Faccio un esempio. In qualsiasi azienda, può capitare che un collaboratore non appena finito un lavoro abbandoni per distrazione un oggetto, come un secchio, da qualche parte. Possono passare mesi prima che qualcuno si decida a raccoglierlo e a riporlo al suo posto. Ciò accade perché spesso diamo tutto per scontato. L’innovazione è non dare mai nulla di scontato, ma operare giorno per giorno per attuare microscopici cambiamenti».
Il presidente delle Uisi, Eugenio Alphandery, ha fatto un passo in più, identificando la “secia” con la burocrazia italiana che soffoca il mondo dell’impresa.
«Il nostro Paese si comporta come se fosse ostile all’innovazione - ha detto - abbandonando un’infinità di “secchi” sul cammino di chi fa impresa».
Il convegno si è concluso con il racconto di alcune storie di “made in Italy”. Particolarmente interessante l’esperienza della storica Confetteria Mucci, di Andria.
«Per noi innovazione significa voler espandere l’azienda mantenendo intatti i modelli produttivi artigianali - ha affermato Cristian Mucci - Ad esempio, vogliamo che i nostri confetti possano essere mangiati anche da musulmani ed ebrei e per questo produrremo presto prodotti certificati Halal e Kosher».